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Carlo Dall’Ava dopo l’infarto: «Ho passato un periodo durissimo, ora sono un uomo diverso»

Non sempre le cose vanno bene. Le sfide nella vita, ci sono per tutti. Anche per chi, nella vita, può dire di avere tutto, soprattutto la felicità quotidiana per quello che si è e si fa. Nessuno è immune però alle vicende avverse. Questo periodo di pandemia ce lo sta dimostrando. Già essere imprenditori è di per suo: una prova quotidiana. C’è anche chi, le sfide, le affronta e poi torna più forte di prima. E’ quanto accaduto a Carlo Dall’Ava, fondatore del marchio Dok, degli altrettanto noti prosciutti di San Daniele del Friuli, di diversi ristoranti e prosciutterie.

Come sta?
Oggi bene. Ma ho passato un periodo duro, durissimo, da cui sono uscito diverso.

Cosa è successo?
Un infarto. Giorni e giorni in ospedale. Operazioni. La terapia intensiva. Non poter comunicare con i miei cari. A mia moglie, al telefono, dall’ospedale han detto, mentre mi trovavo in rianimazione: ‘E’ stato operato, vediamo se passa la notte’ (china il volto mentre racconta, ndr). E’ stata dura. Ma sono qui a raccontarla.

Ora si sente diverso?
Sì. Diciamo che molte delle persone che credevo amiche mi hanno voltato le spalle. Ed allora, dentro di me, è scattato qualcosa: non ho più tempo per non dire ciò che penso. I freni inibitori sono saltati. Mentre, molti altri mi hanno stupito per la loro vera amicizia: a loro sono grato, non me lo dimenticherò. Mai.

Cosa vorrebbe dire oggi, in questa situazione economico-poltica-sanitaria che stiamo vivendo?
Che si vergognino. Mi riferisco a coloro che hanno il potere di tenere chiusi locali e ristoranti. A chi ci governa. A mio avviso non si rendono conto del danno che stanno apportando all’intero sistema economico, così facendo. Chi ci governa non ha la minima idea di cosa voglia dire fare impresa. Ovvero svegliarsi ogni giorno con una miriade di problemi da risolvere. Lottare perché le cose vadano bene. Dare da lavorare a centinaia di persone e non sapere cosa sarà domani. Ci dicono di adeguarci alla norma per: il distanziamento, un numero limitato di posti a tavola. E poi ci fanno chiudere, senza nessuna certezza su quando e come riaprire. Siamo un popolo tollerante, accettiamo ciò che ci viene imposto. Fossimo in Francia, on in altri Paesi al mando, le reazioni sarebbero differenti.

Quanto del vostro personale è a casa?
Ottante persone. Abbiamo anticipato la cassa integrazione, non so se saremo ancora in grado di farlo. Quando in molti altri Paesi nel mondo tutto funziona, con le regole, rispettando i dettami anti Covid. L’Asia è ripartita. Israele ha vaccinato l’intera popolazione e noi siamo nel pieno di una crisi di Governo, nel bel mezzo della pandemia. Solo noi registreremo, con i nostri ristoranti, un meno 80% degli introiti. I ristori sono compensazioni a dir poco ridicole.

Cosa farà appena si tornerà alla normalità?
Un giro in moto. Adesso i medici mi hanno detto che non posso ancora farlo.

Chi si sente di ringraziare dopo questo brutto momento?
Oltre alla mia famiglia, i medici e gli  infermieri degli ospedali di Udine e Pordenone: mi hanno curato con grande professionalità e umanità.