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Vento in alta quota, rischi ed effetti su neve e ghiaccio

Accumuli di neve, tenuta delle cascate di ghiaccio, temperatura percepita, visibilità. Il vento in alta quota ha un effetto moltiplicatore sui fattori che possono determinare la buona riuscita di un’uscita in ambiente montano. Giacomo Poletti, ingegnere ambientale da 13 anni docente di meteorologia per il Collegio Guide Alpine del Trentino, spiega in questa intervista quali sono le cose da sapere e le precauzioni da prendere quando le condizioni in montagna sono caratterizzate da vento più o meno forte, in particolare quando le condizioni di innevamento sono particolarmente rischiose come in questo periodo.

Ing. Poletti, che effetto può avere il vento sulle condizioni del manto nevoso?
«In caso di temperature sottozero e neve poco coesa come quella attuale, scesa in grandi quantità nei giorni scorsi si può produrre il fenomeno dello “scaccianeve” con notevole asportazione del manto sui versanti sopravento e accumuli sottovento nei luoghi riparati, di “calma”. Sulle creste, questa situazione porta alla costruzione di pericolose cornici. Diversamente, ad esempio con temperature sopra lo zero, più calore alla neve rispetto a una situazione di vento assente, fondendo e scaldando il manto più o meno in profondità. Questo dà origine a strati alterati che possono poi rigelare successivamente, creando discontinuità, e anche qui problematiche in ottica valanghe. E’ necessario quindi, dopo forti nevicate come quelle appena registrate su tutto l’arco alpino, prestare la massima attenzione ai bollettini e alla valutazione del manto nevoso durante le escursioni».

Come, invece, possono influire sulle condizioni delle cascate di ghiaccio?
«Il vento aumenta il trasporto di calore. Per le cascate di ghiaccio risulta particolarmente deleterio il vento qualora si verifichi con temperature positive, soprattutto di bulbo umido, il wet bulb. E’ una situazione frequente quando il fӧhn irrompe in valli dominate dall’inversione termica. In condizioni di temperatura sotto lo zero invece la formazione di ghiaccio sui corsi d’acqua è accelerata dal vento, perché esso aumenta il flusso di calore rimosso dall’acqua per unità di tempo».

Quali altri effetti può avere il vento sulle condizioni ambientali in quota?
«Bisogna considerare il wind-chill o indice di raffreddamento, che dà una misura degli effetti del vento sul corpo ed è da ricordare che, allontanandoci dalle temperature di comfort, l’effetto del vento diventa molto più impattante. A 0°, ad esempio, un vento di 50 km/h porta a una temperatura apparente di circa -13°. Ma se ho lo stesso vento a -10°, lo scarto fra temperatura reale e percepita diviene maggiore: la temperatura apparente in quel caso arriva a ben -28° con uno scarto di 18°. Ciò impone alla guida di porre la massima attenzione alla previsione di eventuali venti forti quando le temperature sono sottozero. Il wind-chill venne studiato per la prima volta in Antartide nel 1941 dai ricercatori Siple e Passel, valutando i tempi di congelamento di un panno bagnato. Oggi esistono diverse formule empiriche per quantificare la perdita di calore del corpo con il vento».

Ci sono fenomeni a cui fare attenzione/precauzioni da prendere quando si prevedono questi venti? 
«Chi vive la montagna deve ricordare, oltre a quelli già citati, anche i rischi in caso di vento con presenza di neve come il white-out, condizione in cui la visibilità in una zona innevata è talmente bassa da far perdere l’orizzonte e i punti di riferimento, con conseguente disorientamento o anche perdita di equilibrio. Può inoltre causare problemi di comunicazione, difficoltà respiratorie e un aumento del rischio di crolli di ghiaccio, neve e roccia per le sovrapressioni indotte sulle pareti».

Ci sono segnali che possono essere colti per valutare l’arrivo o le condizioni di vento in quota?
«A livello empirico, spesso prima dell’arrivo di forte vento si può osservare lo sviluppo e il rinforzo di nubi lenticolari ed una elevata velocità dei cirri. Il vento, per i già citati effetti di attrito con il terreno, tende ad anticipare i massimi in alta quota rispetto al suolo, anche se in qualche caso si può registrare vento solo in basso, come nel raro shallow fӧhn. Un tipo di tempo diverso, ad esempio pioggia e sole, fra due versanti di un rilievo può essere un altro indicatore di possibile forte vento. Al di là delle osservazioni, è da sottolineare l’importanza fondamentale della previsione meteorologica delle Arpa regionali, i cui bollettini sono reperibili a partire dal sito meteoregioni.it e sono imprescindibili per ogni professionista. Per chi volesse approfondire la previsione del vento in quota, consiglio su tutti meteologix.com dove c’è la possibilità di consultare i radiosondaggi simulati dal modello europeo Ecmwf e da altri modelli per l’ora richiesta, cliccando sulla mappa. Il vento viene riportato in forma di vettore, con direzione e intensità. Va ricordato che il vento può variare moltissimo in poche centinaia di metri, specie in caso di aria stabile».

Che effetti ha il vento sulla qualità dell’aria?
«L’assenza di vento nei bassi strati favorisce l’accumulo di inquinanti primari che, in certe condizioni atmosferiche di cieli sereni e aria stagnante, possono dare vita ad ulteriori sostanze, dette inquinanti secondari. È il classico caso della Val Padana in inverno, chiusa dai monti su tre lati e soggetta all’inversione termica: i recenti gennaio e febbraio come noto hanno visto episodi notevoli a riguardo. Sull’Europa continentale e in montagna invece i venti entrano con più facilità “spazzando” via l’inquinamento (in realtà, il più delle volte viene spostato e diluito verso altri territori, come dimostrano i casi passati di piogge acide sulle Alpi».

Quali sono i venti presenti in alta quota e che caratteristiche hanno?
«I venti in alta quota in genere si sviluppano per notevoli lunghezze e sono indotti da sistemi di pressione a scala continentale. Per questi motivi sono solitamente ben prevedibili. Le massime velocità del vento, in media, si hanno ai limiti della troposfera fra gli 8.000 e i 12.000 metri, a quote quindi inaccessibili: qui ha sede la corrente a getto, o jet stream, un intenso flusso ondulatorio non regolare che percorre il nostro emisfero da ovest verso est, ma che influenza anche i livelli inferiori. La corrente a getto corre lungo la linea di separazione fra le masse di aria fredda polare a nord e l’aria calda subtropicale a sud. La causa scatenante è proprio la differenza di densità fra le due masse d’aria: il divario di pressione è massimo proprio alle alte quote. La corrente a getto è importante per chi affronta altitudini estreme, ad esempio in Himalaya. Scendendo, comunque, si possono trovare venti analoghi o correlati al jet stream. In generale infatti si registrano i venti più forti sempre all’interfaccia fra l’aria fredda, contenuta nelle cosiddette “saccature”, e le masse d’aria più calde. Come dicevamo, il vento è ben prevedibile in intensità e direzione al di sopra dei 2500/3000 metri, dove gli effetti di attrito del suolo e di turbolenza sono meno importanti. In Italia osserviamo una prevalenza statistica dei flussi in quota fra il sud/ovest e il nord/ovest».

Venti più comuni sulle Alpi sono il fӧhn e lo stau: che cosa sono e che caratteristiche hanno?
«Quando il vento incontra una montagna o una catena ci sono tre possibilità. La prima è che il flusso venga bloccato, specie se l’ostacolo orografico è elevato e lungo: può essere il caso delle Alpi con venti deboli da sud o da nord, in quel caso si ha una tendenza allo sviluppo di un flusso parallelo alla catena solo nei bassi strati con deviazione verso sinistra, detto barrier jet: ad esempio un vento debole da sud, incontrando le Alpi, tende a soffiare dal Veneto verso il Piemonte. Se invece il vento ha velocità maggiori, può fuoriuscire attraverso valichi o vallate, come succede ad esempio nella valle del Rodano in Francia o a Trieste con la Porta della Bora. In quel caso il vento passa dai restringimenti accelerando. Si tratta dell’effetto Venturi: restando costante la portata d’aria, se la sezione diminuisce, la velocità deve aumentare. Il terzo caso, più importante per chi frequenta l’alta montagna, vede un vento intenso in grado di superare ogni ostacolo. In quel caso abbiamo sollevamento sul versante sopravento, con nubi e/o precipitazioni (stau) e tempo migliore (fohn) sottovento, dove le nubi tendono a scomparire o a divenire lenticolari in aria limpida. In questi casi l’accelerazione avviene sulle creste, sempre per effetto Venturi ma sul piano verticale, con rotori frequenti sottovento».