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Sanità friulana, allarme della Fp Cigl per il calo di personale e livello dei servizi

Proponiamo una nota inviataci da Andrea Traunero e Claudio Di Ottavio della Fp Cgil Udine.

Mancano poco più di tre mesi all’unificazione in un’unica grande Azienda dei servizi sanitari dell’intero territorio udinese, ma le cose vanno male. Gli organici del personale e i servizi per i cittadini, infatti, sono in costante discesa.

Come Cgil l’avevamo detto e denunciato subito non appena l’assessore regionale alla Sanità aveva tagliato di 9 milioni e mezzo le risorse per le assunzioni. Ci avevano detto che la nostra era disinformazione e che tutto andava bene. La realtà, invece, conferma le nostre previsioni.

Nei primi sei mesi dell’anno l’Azienda udinese ha perso una cinquantina di unità e ne perderà oltre 100 entro dicembre. L’Azienda 3 ( Alto Friuli-Collinare-Medio Friuli ) perde una ventina di operatori da gennaio a giugno e ne perderà altrettanti per fine anno. L’Azienda 2 (Bassa Friulana e Isontina ) doveva “miracolosamente” crescere di 82 unità, invece si muove di pochi millimetri. E non va dimenticato l’effetto quota 100, che farà scendere ancora di più i numeri del personale. 

Anche prevedendo alcuni ingressi di infermieri e operatori socio sanitari, non si riuscirà di certo a coprire le carenze, ormai strutturali, che si sono determinate.

La causa della crisi è semplice da individuare : nei serbatoi delle Aziende manca la benzina per fare le assunzioni. L’amministrazione regionale non dà sufficiente benzina e ne attribuisce la responsabilità al Governo, che impone un tetto di spesa sul personale. Da qui il ricorso, al momento solo annunciato, contro il decreto nazionale che ha disposto il taglio. Mentre il ricordo farà il suo complesso iter, però, chi manderà avanti i reparti, i distretti, l’insieme dei servizi? Non ci sarà mica la volontà di usare i tagli di personale per privatizzare?

In realtà la soluzione per risolvere il problema da subito è un’altra, molto più semplice e rapida dei ricorsi: finanziare le aziende portandole a pareggio di bilancio. La normativa nazionale prevede che, in questo modo, possano ripartire le assunzioni. Perché non viene imboccata questa strada?

Ma non c’è solo il calo di personale. Come Cgil Fp riteniamo che le tre Aziende – in vista della fusione del 1° gennaio 2020 – non si stiano muovendo nel modo migliore, perché il modello di governance che si vuole adottare in vista della partenza della nuova Azienda sanitaria udinese (Asu Fc) non consentirà a nostro avviso di avere una visione completa dello stato di salute dei cittadini e di interpretare tutti i loro bisogni assistenziali sia durante la degenza che in fase di dimissione. Si rischia pertanto di non gestire al meglio delicato passaggio dalla dimissione ospedaliera alla presa in carico da parte dei servizi territoriali. 

Ad oggi non è dato di sapere come la direzione aziendale intende riorganizzare la nuova e grande Azienda che partirà da Tarvisio e arriverà a Latisana, passando per Udine e Palmanova. E resta aperta, senza che si intravedano soluzioni, una lunga serie di problemi gravissimi. Vediamone solo alcuni.

Nei reparti di medicina, e non solo, dell’Ospedale di Udine si replica il solito film estivo (ma anche invernale): reparti che possono ospitare 39 pazienti sono arrivati ad avere anche picchi di 44-46 pazienti, divenendo insicuri per i pazienti e per il personale che ci lavora.  Ad oggi si deve far fronte ad un’altra situazione che noi avevamo previsto, mancando infermieri e operatori socio sanitari: il reparto di Medicina dell’Asuiud, che tradizionalmente chiude durante l’estate, riaprirà solo chiedendo al personale, già sottorganico, di fare ore aggiuntive.

L’ospedale, inoltre, si vedrà costretto – per recuperare personale-  a chiudere un altro reparto: il postacuti. Peccato però che il postacuti, che ha funzionato a pieno ritmo per anni, servisse proprio ad accogliere i pazienti provenienti dalle medicine, in una logica di assistenza per “intensità di cure”. La chiusura del reparto era già prevista nel Piano Attuativo  2019 e come CGIL avevamo espresso tutte le nostre perplessità su tale scelta: oggi ci troviamo a ribadire i nostri dubbi, visto che non sappiamo come l’Azienda riuscirà a compensare la chiusura. Le Medicine, infatti, già “scoppiano” avendo in carico più pazienti (molti dei quali in arrivo dal Pronto Soccorso) rispetto alla reale capacità di accogliere, e avrebbero bisogno di essere rafforzate e valorizzate. La sola manovra d’implementare i posti della RSA, che tra l’altro accoglie pazienti che hanno già finito il percorso ospedaliero, non sarà sufficiente a garantire lo stesso numero di ricoveri che invece vengono garantiti dall’attuale organizzazione.

La Rsa di Tolmezzo, che attualmente è in capo all’Aas3 e che garantisce la continuità assistenziale limitando i disagi in caso di condizioni di fragilità, cronicità e non auto sufficienza dei cittadini, verrà esternalizzata. Pesanti dubbi, inoltre, gravano sul futuro della week surgery di Gemona.

Liste d’attesa. Ma il grande problema di carattere generale, e che si continua a non voler affrontare alla radice, è l’allungamento delle liste di attesa. Per i cittadini è intollerabile scoprire che un esame che in pubblico si fa dopo mesi e mesi, in regime privato si può fare in pochi giorni.

Non si può pensare che la nuova Azienda unica udinese possa nascere con zero assunzioni e zero riorganizzazioni, passando soltanto attraverso nuovi regolamenti su orario e mobilità, turni sempre più massacranti, abuso delle ore straordinarie, ferie e riposi saltati.

Perché il paziente torni al centro del sistema sanità serve che assessorato e direzioni aziendali assumano personale e affrontino i problemi cronici che abbiamo indicato. Questa dovrebbe essere la missione di un buon servizio pubblico.