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Mercoledì 9 lo sciopero del pubblico impiego, in FVG coinvolti 27.000 lavoratori

Un rinnovo contrattuale che valorizzi il ruolo fondamentale del lavoro pubblico. Assunzioni e stabilizzazioni per risolvere l’emergenza personale, a partire dalla sanità pubblica, messa a durissima prova anche in regione dall’impatto della seconda ondata Covid, che richiede maggiori investimenti e innovazioni organizzative anche in materia di sicurezza. Queste le motivazioni dello sciopero del pubblico impiego, proclamato per l’intera giornata di mercoledì 9 dicembre dalle segreterie nazionali dei sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil, che in FVG coinvolgerà una platea teorica di circa 27mila lavoratori.

SERVIZI GARANTITI. La protesta, come previsto dalla legge 46/1990, non intaccherà l’erogazione dei servizi essenziali ai cittadini. «Non ci saranno blocchi del Paese e della regione – spiegano i segretari regionali di Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Fpl, Orietta Olivo, Massimo Bevilacqua e Luciano Bressan – non perché i sindacati non sono in grado di farlo, ma perché rispettiamo la legge e perché non intendiamo far mancare l’assistenza ai cittadini. È quindi con senso di responsabilità e contemperando il diritto alla protesta con il diritto alla continuità dei servizi, a partire da quelli assistenziali, che abbiamo deciso di mobilitarci per convincere il governo a cambiare idea sul valore sociale del lavoro pubblico».

IL CONTRATTO. Centrale nella mobilitazione di mercoledì la vertenza sul rinnovo dei contratti. «Al Governo – dichiarano Olivo, Bevilacqua e Bressan – chiediamo un contratto che investa sul lavoro pubblico e sulla sua innovazione, favorisca la riorganizzazione dei servizi di prossimità, migliori l’organizzazione del lavoro, incentivi la contrattazione decentrata anche come strumento di miglioramento e innovazione dei servizi». Quanto agli importi sul campo, Cgil, Cisl e Uil contestano la stima in base alla quale le risorse stanziate dal Governo, compresa l’ultima tranche da 400 milioni inserita in Finanziaria, consentano un incremento salariale medio di 107 euro. «I 107 euro di cui si è parlato – spiegano i segretari regionali – non corrispondono al reale aumento delle retribuzioni. Oltre ad assorbire importi già presenti in busta paga, come l’indennità di vacanza contrattuale, sono infatti il frutto di una media che tiene conto anche dei trattamenti, più alti, dei dirigenti. Per chi lavora nei comparti, compresa la sanità, il fronte più esposto agli effetti della pandemia, le risorse attuali garantiranno aumenti di poche decine di euro per l’intero triennio 2019-21».

LE ASSUNZIONI. «Durante questa emergenza sanitaria ed economica – aggiungono Olivo, Bevilacqua e Bressan – i lavoratori pubblici hanno garantito, in presenza o da casa, la continuità assistenziale e di cura e la prosecuzione dell’azione amministrativa». E il Paese, secondo Cgil, Cisl e Uil, «uscirà più in fretta da questa crisi se investirà sulla protezione sociale e sul ruolo universale del servizio pubblico». Da qui il rinnovato appello alla Regione per l’avvio di un «piano straordinario di assunzioni e stabilizzazioni del personale sanitario». Le categorie chiedono di «porre fine a una sterile battaglia di cifre, peraltro gonfiate da assunzioni temporanee, nella piena consapevolezza che va urgentemente colmato un fabbisogno immediato di almeno 400 posti, quelli che mancavano all’appello già prima della pandemia e mancano tuttora, per far fronte all’emorragia di posti legata alla saturazione dei reparti Covid e delle terapie intensive, ai contagi tra il personale, ai distacchi dagli ospedali a strutture assistenziali pubbliche o private colpite anch’esse da gravi vuoti di organico, all’esigenza di garantire adeguati rinforzi ai presidi territoriali e ai dipartimenti di prevenzione, che non riescono a tenere il passo con i controlli e il tracciamento».

PIÙ SICUREZZA. Nel mirino anche le lacune che continuano a caratterizzare la gestione della sicurezza, a partire dagli ospedali e nelle strutture socio-sanitarie, «dove si registrano diffuse carenze, in particolare nella definizione dei percorsi sporco-pulito, negli spogliatoi, in certi casi anche nelle dotazioni di dispositivi di protezione, fattori che non possono essere estranei alla forte crescita dei casi di positività tra il personale e gli utenti». Ma l’allarme sicurezza riguarda tutti gli uffici pubblici, anche a causa, secondo i sindacati, di un’organizzazione unilaterale dello smart-working, «troppo affidata alle scelte discrezionali dei dirigenti e poco attenta a obiettivi di innovazione e miglioramento della macchina organizzativa». Anche su questo punto, secondo Cgil, Cisl e Uil, il nuovo contratto dovrà cominciare a dare delle risposte, affidando alla contrattazione decentrata con i singoli enti obiettivi di innovazione organizzativa che possano contribuire anche all’innalzamento degli standard di servizio ai cittadini-utenti.