A fine 2013 fallimenti in crescita in Provincia di Udine

A
fine 2013 risultano in aumento del 5,7% i fallimenti in Provincia di
Udine,
con l’aggravante che rispetto a 12 mesi prima, le
aziende coinvolte sono di dimensioni maggiori rispetto al passato, e
quindi le procedure coinvolgono un numero più elevato di
dipendenti. Complessivamente infatti il totale delle procedure
concorsuali (comprese quindi le amministrazioni straordinarie,
concordati preventivi, ecc.) nel 2013 ha toccato quota 64,83% sul
totale vertenze
(negli anni precedenti rappresentavano meno del
50%). L’analisi emerge dall’attività dell’Ufficio
Vertenze della Cisl Alto Friuli.

Nello
specifico a fine 2012 i fallimenti decretati dal Tribunale di Udine
erano stati 109, ai quali si aggiungevano i 13 del Tribunale di
Tolmezzo. Al 19 dicembre 2013 al Tribunale di Udine si è
toccata quota 119, ai quali si aggiungono i 10 provenienti dal
circondario carnico (8 prima della soppressione degli uffici
tolmezzini, 2 post).
E dietro i freddi numeri si sono nomi di
aziende storiche del Friuli,
molte delle quali crollate nel
vortice della crisi nell’ultimo anno e mezzo: dalla EuroHolz di
Villa Santina alla SataEnergy di Bordano passando, per l’ex
gestione dell’Hotel Nevada di Tarvisio, tutte con in media dai 15
ai 30 dipendenti. A queste, si aggiungono altre due grosse aziende,
dichiarate fallite nel 2012, la Nuova Detas di Coseano e la Ektron di
Trasaghis. Complessivamente dalla Cisl Alto Friuli nel 2013 sono
state trattate 110 pratiche di lavoratori coinvolti nei fallimenti

(45 commercio, 33 edilizia/legno, 28 metalmeccanica, 5 trasporti).

Sul
fronte delle altre procedure concorsuali agli uffici del sindacato
dell’Alto Friuli si stanno trattando 27 pratiche di amministrazione
straordinaria e 16 di concordato preventivo
(spiccano la
vertenza Bernardi Group ma anche la complessa procedura con la
Powerwall di Artegna, la cui sede legale è in Scozia).

Per
quanto riguarda invece gli altri tipi di pratiche il sindacato rileva
che sul recupero crediti si riscontra una forte difficoltà:

“ci sono aziende che neppure rispondono alle nostre lettere -fa
sapere Mauro Urli, responsabile dell’Ufficio Vertenze – altre
invece con le quali si sottoscrive un accordo di rateizzazione ma poi
non pagano, altre ancora ci riferiscono di non avere soldi e non
riescono a pagare. Quasi tutte queste pratiche vengono passate
all’avvocato per il decreto ingiuntivo o per avviare cause di
lavoro. Ed è importante – prosegue Urli – che il
lavoratore si rivolga all’ufficio vertenze non molto tempo dopo la
cessazione del rapporto di lavoro
. Perché in caso di
credito di mensilità di retribuzione oltre che del TFR, se non
si è stati pagati sarebbe opportuno avviare una causa di
lavoro entro 9 mesi dalla data di cessazione (e quindi di rivolgersi
ben prima all’Ufficio Vertenze). Nel male di tutte queste
vertenze – aggiunge Urli – è meno complesso recuperare i
soldi per i lavoratori quando l’impresa fallisce (tempi minimi 7-8
mesi per ricevere almeno il TFR dall’INPS).
Per le esecuzioni
individuali, ossia il recupero del credito tramite azione legale, può
accadere che il costo delle spese di giustizia che deve sostenere il
lavoratore per le varie pratiche potrebbe essere addirittura più
alto dell’ammontare del suo credito. E l’azione legale potrebbe
durare anche parecchi anni”.

Ci
sono anche casi di pratiche che potrebbero risultare “sconvenienti”:
quando infatti, a seguito dell’azione legale, scattano i
pignoramenti – fa notare Urli – interviene la Coveg (Istituto di
Vendite Giudiziarie) che provvede a mettere all’asta i beni, i cui
bandi hanno un costo di circa 100 euro; un lavoratore inoltre, dal
luglio 2011 per avviare un’azione legale rischia di dover pagare il
contributo unificato, in sostanza una marca da bollo alla quale è
stato dato un nome gentile per camuffare l’ennesima tassa, che in
alcuni casi si aggira anche oltre i 100 euro”. Le più
complesse sono quelle individuali:
“c’è per esempio il
caso di una lavoratrice che risiede nella collinare che sta
aspettando i soldi del proprio TFR; la rivalsa sull’ex datore di
lavoro attraverso l’INPS ha fatto scoprire che lo stesso possiede
una parte di una proprietà immobiliare in Sicilia. Alla fine
tutta l’azione legale potrebbe costare anche diverse migliaia di
euro– fa notare Urli – una cifra forse superiore ai soldi che la
donna attende dal suo Trattamento di fine rapporto”.

Ed
ancora c’è il caso di un giovane che dal suo ex datore di
lavoro doveva avere ancora dei soldi, ma il costo da sostenere per il
recupero era probabilmente maggiore della spettanza
: “Circa tre
anni fa, causa sconvenienza si era deciso di abbandonare la pratica
di recupero credito – racconta Urli –; ora però è
arrivata la cartella esattoriale della Agenzia delle Entrate che
chiede indietro al padre del ragazzo oltre 1.000 euro fra detrazioni
e rimborsi per spese mediche, delle quali non avrebbe avuto diritto
stante il reddito accumulato dal giovane dichiarato nel 770
dall’azienda. Una mazzata – conclude Urli – che ora ci porterà
a dover intentare una causa, con la quale dobbiamo contestare il
tutto dimostrando che quei compensi inseriti nel 770 non sono reali e
che il ragazzo ha effettivamente percepito un reddito basso tanto da
risultare a carico del genitore”.

Complessivamente,
nel 2013 il numero di pratiche raccolte dall’Ufficio Vertenze della
Cisl Alto Friuli è raddoppiato rispetto a quelle raccolte nel
2011. Segno evidente dei gravi effetti della crisi tuttora in atto.