Paura per la frana di venerdì 13 a Timau

Questa volta a Timau è serpeggiata davvero la paura. Quando intorno alle 20.00 di venerdì 13 marzo, un frastuono indescrivibile ha attirato fuori di casa la gente che, naso all’aria, tentava di penetrare il buio fitto per capire quanta roba stesse precipitando giù dalla montagna, più d’uno, non necessariamente un superstizioso, ha avvertito un brivido di forte apprensione mista al timore che non si trattasse della solita frana degli ultimi tempi, circoscritta nelle dimensioni ed incanalata nella consueta fenditura tra la roccia, che l’avrebbe scodellata più in basso ormai frantumata in mille rivoli farinosi. Il rombo che accompagnava il travolgente riversarsi a valle di un fiume di pietre rotolanti su una lettiera impastata di neve e fanghiglia superava di parecchi decibel quello di un paio di settimane orsono, che i timavesi conservavano ancora nell’orecchio della memoria. Gli abitanti del borgo di case sorte in fondo al paese, proprio sotto al Gamspitz, hanno seguito con trepidazione il crescendo sonoro dello scoscendimento, hanno visto sul tratto di strada che costeggia il Fontanone gonfiarsi di colpo una nuvola perlacea di pulviscolo nevoso ed alla fine hanno accompagnato sollevati il progressivo affievolirsi dell’inquietante rumore. Poi, il silenzio. Il sole di sabato mattina ha illuminato il tragitto della frana, indicato da una larga striscia marrone partita dalla “Ganzsbisa” (il prato cresciuto nella conca scavata ai piedi dello svettante monòlito del “Gamspitz”, che adesso è soltanto una fetta di terra nera e graffiata) e stampatasi visibilmente sul fianco roccioso della montagna, fino a lambire il profondo vallo che protegge il paese. Non ci sono stati danni alle case, ad eccezione di lunghi schizzi di fango che hanno imbrattato quelle erette nella parte alta del Pauarn, cosicché non c’è per fortuna nulla da recriminare. Ma se, putacaso, la frana di venerdì e quella precedente di quindici giorni fa si fossero staccate dalla cima del monte contemporaneamente, formando un’unica massa dirompente di neve, terra e sassi? Che cosa ne avrebbe disinnescato la micidiale potenza, se la vegetazione presente su quel tratto di pendio non sembra in grado di fronteggiare efficacemente una simile evenienza, che si spera resti sempre confinata allo stato di ipotesi?